NATALE 2018

Tra i molti auguri che in questi giorni fioriscono sulle nostre labbra, quello della pace appare il più necessario, il più urgente. La pace è anèlito diffuso in questo tempo inquieto, è aspirazione universalmente condivisa da parte di un’umanità insidiata da mille violenze, ferita e terrorizzata, sconvolta da nuove e sempre rinascenti ferocie.

Certo, la parola “pace” non manca nei discorsi degli uomini, dalle aule parlamentari alle chiese, dai convegni alle piazze. A parole, tutti nominano la pace, tutti l’auspicano, tutti la difendono. Ma come dobbiamo intendere la pace?

Papa Giovanni XXIII, due mesi prima di morire, nell’enciclica Pacem in terris indica quattro condizioni fondamentali per realizzare nella storia la pace di Cristo: il rispetto della verità, la tensione verso la giustizia, l’amore fraterno che rifugge dai mezzi violenti, la libertà che esclude ogni soffocante imposizione.

La verità sarà fondamento della pace, se ogni individuo con onestà prenderà coscienza anche dei propri doveri verso gli altri, oltre che dei propri diritti. L’amore sarà fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli altri ciò che possiede. La libertà alimenterà la pace se le persone seguiranno la ragione, non la pancia, se assumeranno la responsabilità delle proprie azioni e non la scaricheranno sempre sugli altri.

Non è affidabile come paladino di pace chi, nell’atto stesso di auspicare la pace, pronuncia parole violente, parole di odio, parole di incitamento ad aggredire. La pace non ha vita facile in un mondo alterato dall’egoismo e dalla menzogna.

Ma il discepolo di Gesù resta sereno e non perde mai la speranza.