«Delle virtù dei santi io devo prendere la sostanza e non gli accidenti». Questa nota del 1903 che il chierico Angelo Giuseppe Roncalli scrive sul suo diario, mostra come egli si renda già conto che è assurdo pensare a una specie di clonazione della santità. Prende coscienza sia della diversità personale sia della distanza storica che lo separano dai santi venerati, e a maggior ragione dai santi antichi.
Questo è lo spunto da cui partono le riflessioni dei due articoli della sezione «Studi» che aprono il presente fascicolo. Essi muovono dalla comune convinzione che la spiritualità del futuro papa Giovanni XXIII può essere colta nelle sue molteplici sfaccettature anche grazie alla paziente ricostruzione dei santi ai quali egli si è riferito e ai quali si è ispirato nel corso della sua vita. Nel primo saggio Luigi Franco Pizzolato indaga sull’assiduo e fecondo legame tra Roncalli e i Padri della Chiesa. Nel secondo contributo Ezio Bolis mostra l’influsso che la spiritualità benedettina ha esercitato sul santo bergamasco.
Dai testi roncalliani, accuratamente scandagliati e interpretati nel loro contesto, emerge l’idea che i vari cambiamenti di un ministero lungo e assai diversificato come il suo, abbiano rappresentato per lui uno stimolo a conoscere o approfondire figure spirituali sempre nuove. Come a dire che la differenza di condizioni impone un adattamento. Del resto, la sua relazione con i santi non si riduce a un contatto episodico e superficiale; egli non si accontenta di visitarne i santuari o di venerarne le reliquie; dei santi conosce la vita, cita gli scritti, propone gli insegnamenti, dal momento che, come dirà più volte, «noi non siamo rimasti sulla terra a custodire delle tombe di apostoli, di santi, di eroi, ma a continuarne la splendida tradizione».
La riscoperta della tradizione cristiana è pure oggetto della sezione «Documenti» che propone il Diario di viaggio in Terra santa di Gustavo Testa, amico, figlio spirituale di papa Giovanni XXIII che lo nominerà cardinale nel 1959. L’interesse di questo documento inedito del 1913, minuziosamente annotato e ampiamente introdotto da Alessandro Angelo Persico, è molteplice. Oltre a mostrare i rapporti di confidenza con Roncalli, offre elementi per ricostruire il fenomeno dei pellegrinaggi in Terra Santa in età contemporanea. Testa dipinge il clima cosmopolita che caratterizza sempre più Gerusalemme dove, grazie al movimento sionista, cresce sensibilmente l’immigrazione degli ebrei, mentre le potenze europee fanno sentire il loro peso politico e culturale. È la stessa Città Santa che pochi anni prima, nel 1906, aveva visto pellegrino anche don Roncalli, segretario di monsignor Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo.
Particolarmente interessanti sono le annotazioni di don Testa – fresco di studi biblici compiuti a Roma e coronati brillantemente con una tesi su Giuseppe Flavio – che aprono squarci sulla situazione della cultura cattolica di inizio Novecento, attraversata da vivaci dibattiti e travagliata dalla crisi modernista. In quegli anni lo studio della Bibbia è uno dei settori più in fermento: oltre al desiderio di valorizzare quei «fatti storici» sui quali è fondata la fede cristiana, si vuole «mettere […] un poco più di religione nella storia, e un poco più di storia nella religione, per la migliore intelligenza dell’una e dell’altra», come scrive Del Pezzo su «La Rassegna Nazionale» nel 1892.